Primi giorni di Agosto 2011. Amritsar è il primo impatto con l'India dopo quattro settimane passate tra Cina e Pakistan. Sei giorni in questa città utili a riprendermi dagli inevitabili sconquassi prodotti dall'aver percorso tutta la Karakhorum Highway.
Mi rilasso seduto sui marmi bianchi del Golden Temple, sotto i portici il fresco dato dall'ombra è aumentato da decine di ventilatori che levano via di dosso parte del calore e dell'umidità. I piedi ormai son abitati a stare scalzi, e dopo il disgusto del primo giorno ormai trovano quasi piacere nel contatto con il pavimento liscio.
Una bambina dagli occhi grandi mi sorride, mi avvicino e sua madre mi chiede di fotografarla.
Nonostante il Golden Temple sia uno dei monumenti più belli di tutta l'India quasi sempre mi trovo da solo in mezzo ai pellegrini Sikh (in preghiera) e agli hindu (lì per dormire e mangiare gratis, infatti nel Golden Temple ci sono dei dormitori e vengono distribuiti ogni giorno migliaia di pasti gratuiti a chiunque si presenti), e passandoci ore ogni giorno vedo spesso le stesse facce con molti che ormai mi riconoscono e mi chiamano. Quasi nessuno parla inglese ma non è difficile capirsi, molti vogliono farsi fotografare o avere una foto con me di fianco.
Una ragazza molto bella vestita di uno splendido blu attira la mia attenzione, parlo con lei e i suoi amici, non capisco granché di quel che dicono, solo che provengono da un villaggio poco lontano.
Un gruppetto di uomini Sikh mi vede e quasi mi ordina di sedermi tra loro. Vogliono sapere da dove provengo. Uno di loro parla un'inglese stentato ma sufficiente per fare un po' di conversazione. Mi dice che chiunque può stare nel tempio, dormire e mangiare, per tutto il tempo che vuole anche se ogni tre giorni bisogna presentarsi in una sorta di accettazione e prolungare il soggiorno per altri tre giorni, tutto gratis. Mi spiega che la spada che molti di loro portano è sintomo di virilità e potenza, che il turbante serve per tenere puliti i capelli e che la barba lunga la lasciano così perché è in questo modo che Dio gliel'ha data.
Mi rilasso seduto sui marmi bianchi del Golden Temple, sotto i portici il fresco dato dall'ombra è aumentato da decine di ventilatori che levano via di dosso parte del calore e dell'umidità. I piedi ormai son abitati a stare scalzi, e dopo il disgusto del primo giorno ormai trovano quasi piacere nel contatto con il pavimento liscio.
Una bambina dagli occhi grandi mi sorride, mi avvicino e sua madre mi chiede di fotografarla.
Nonostante il Golden Temple sia uno dei monumenti più belli di tutta l'India quasi sempre mi trovo da solo in mezzo ai pellegrini Sikh (in preghiera) e agli hindu (lì per dormire e mangiare gratis, infatti nel Golden Temple ci sono dei dormitori e vengono distribuiti ogni giorno migliaia di pasti gratuiti a chiunque si presenti), e passandoci ore ogni giorno vedo spesso le stesse facce con molti che ormai mi riconoscono e mi chiamano. Quasi nessuno parla inglese ma non è difficile capirsi, molti vogliono farsi fotografare o avere una foto con me di fianco.
Una ragazza molto bella vestita di uno splendido blu attira la mia attenzione, parlo con lei e i suoi amici, non capisco granché di quel che dicono, solo che provengono da un villaggio poco lontano.
Un gruppetto di uomini Sikh mi vede e quasi mi ordina di sedermi tra loro. Vogliono sapere da dove provengo. Uno di loro parla un'inglese stentato ma sufficiente per fare un po' di conversazione. Mi dice che chiunque può stare nel tempio, dormire e mangiare, per tutto il tempo che vuole anche se ogni tre giorni bisogna presentarsi in una sorta di accettazione e prolungare il soggiorno per altri tre giorni, tutto gratis. Mi spiega che la spada che molti di loro portano è sintomo di virilità e potenza, che il turbante serve per tenere puliti i capelli e che la barba lunga la lasciano così perché è in questo modo che Dio gliel'ha data.